La chiamano online gig economy, economia dei lavoretti online, anche per distinguerla dalla vecchia gig economy. Niente consegne o servizi a domicilio ma programmazione di siti, web design e consulenze aziendali. Secondo l’Online labour index, un indice sul lavoro online creato dal centro di ricerca dell’università di Oxford iLabour Project, l’offerta di opportunità nel settore è lievitata del 26% tra luglio 2016 e giugno 2017. A spingerla sono le specializzazioni legate a sviluppo del software e lavori creativi-multimediali, cresciuti rispettivamente del 37% e del 21% nello stesso periodo. Ma sullo sfondo si fanno notare i servizi professionali: un rialzo del 43%, anche se rapportato a un segmento che vale appena il 3% del totale.

Dove è più diffuso il fenomeno? Il mercato degli Stati Uniti assorbe il 49,6% degli annunci, anche se l’Europa inizia a guadagnare terreno con una quota del 12%. Del resto il bacino di utenza si sta allargando fino a numeri mai pensati in precedenza: negli Usa la quota dei cosiddetti giggers (i lavoratori della gig economy) potrebbe raggiungere il 43% della forza lavoro entro il 2020, mentre in Italia Eurostat registra una totale di «lavoratori autonomi e senza dipendenti» pari a 3,6 milioni.

Migliaia di lavori a portata di clic. Ma gli “stipendi” restano bassi 

Le dimensioni del fenomeno sono suggerite dagli annunci che continuano a essere aggiornati sulle principali piattaforme di lavoro per freelance, il luogo naturale di incontro tra domanda e offerte di impieghi. L’australiano Freelancer.com, fondato nel 2009, conta attualmente 21 milioni di utenti registrati ed è disponibile in 10 lingue, incluso l’italiano. Mentre scriviamo questo servizio sono disponibili quasi 90mila offerte, dalla creazione di loghi allo sviluppo di interfacce basate sulla piattaforma cloud di AmazonFiverr, un motore di ricerca per domanda e offerta di lavori indipendenti, divide le proposte in otto macrocategorie che vanno dal digital marketing al business. Anche qui gli utenti possono avanzare una proposta, con un target di prezzo ideale e specifiche tecniche sul progetto: per lo sviluppo di un’applicazione Android si parte anche da cifre di poco superiori ai 60 dollari.

Sì, ma quanto si guadagna? Non è facile stabilire una media retributiva, in parte perché le entrate dipendono da entità e frequenza delle commissioni. Sempre secondo le offerte pubblicate su Freelancer, si spazia da minimi di pochi dollari l’ora a picchi di (almeno) 10.000 dollari per commissioni come lo sviluppo di applicazioni mobile, piattaforme di management, progetti di design o consulenze sulla blockchain, la “catena dei blocchi” che fa da registro contabile per le transazioni della criptovaluta bitcoin. Sta di fatto che gli standard mensili non sono dei più incoraggianti, almeno sulle piattaforme principali. Secondo la rielaborazione di Earnest, un portale di prestiti online, appena il 4% degli utenti registrati a Fiverr incassa dai 500 ai 999 dollari mensili, contro una quota del 26% che si ferma nella fascia 100-499 dollari e una maggioranza del 70% schiacciato al gradino iniziale: meno di 100 dollari.

L’incognita del contratto: come tutelarsi da freelance 

L’altra incognita che pesa sui lavoratori online è quella del contratto, e delle tutele, che si possono attendere da un’occupazione anomala rispetto ai vecchi schemi. Come spiega Giampiero Falasca, partner dello studio legale Dla Pipe, le regole tradizionali si adattano male alla frontiera delle carriere digitali. «Il vero problema è che le regole attuali del lavoro sono poco compatibili con la rivoluzione digitale in corso – dice – i capisaldi del lavoro subordinato (il tempo e il luogo della prestazione) si vanno sempre più smaterializzando, mentre le regole del lavoro autonomo danno tutele troppo deboli». Una soluzione di compromesso potrebbe essere fornita dallo smart working, il lavoro agile che abbina scadenze fisse a orari più elastici: «In questo scenario è interessante capire quale ruolo potrà svolgere lo smart working – spiega Falasca – una forma di lavoro subordinato nella quale l’orario di lavoro e la sede della prestazione possono essere svincolate da schemi rigidi». Il rischio è di trovarsi intrappolati in rapporti di lavoro dove il freelancing maschera funzioni e obblighi più simili a quelli di un dipendente. In quel caso, anche in assenza di un contratto, si possono far valere le proprie ragioni: «Le persone che lavorano con un contratto irregolare possono sempre andare dal giudice del lavoro e chiedere la riqualificazione del rapporto nella forma più aderente alla realtà – dice Falasca – In questo modo, potrà ottenere il pagamento degli stipendi e dei contributi eventualmente maturati e non goduti».

Fonte: www.ilsole24ore.com

Alberto Magnani – Il Sole 24 Ore

5 Settembre 2017
gig economy

Non trovo lavoro? Me lo invento online. La gig economy cresce del 26%.

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