Fatali, il suo è un punto di vista in un certo senso “privilegiato”, nel senso che ha modo di conoscere da vicino i problemi presenti all’interno delle aziende ed in ambito Risorse Umane. Ha avuto modo di farsi un’idea sul come risolvere il problema dell’occupazione in Italia?
Inizierei con una puntualizzazione non da poco. Non da poco nel senso che chiama in causa l’identificazione del problema a mio parere principale per il Lavoro nel nostro Paese. Non la mancanza di occupazione, ma piuttosto il fatto che quel poco di offerta professionale che c’è sempre più spesso non riesce ad incontrare la domanda. Il problema, dunque, non è l’assenza di lavoro, concetto peraltro non esattamente rispondente alla realtà dei fatti, ma il matching imperfetto ed incompleto che domanda ed offerta di lavoro si trovare a realizzare ai nostri giorni. Il tutto al netto di un assetto di regole, il nostro, che non incentiva le aziende ad assumere. Troppi adempimenti, troppi formalismi, eccessive trappole interpretative, limiti di tutte le risme. Con l’effetto unico ed ultimo che fa apparire ai nostri il sistema come tarato per contrastare chi vuole assumere.
Come si potrebbe a suo parere migliorare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro?
Innanzitutto, bisognerebbe secondo me affrontare coerentemente ed attivamente l’ultima questione che ho segnalato, intervenendo in termini di semplificazione delle regole e degli adempimenti. Ancora, bisognerebbe lavorare sviluppando un focus privilegiato e dettagliato sulle attività di monitoraggio del mercato, e di qui sulla verifica e diffusione delle informazioni ottenute. Sono fronti, questi, sui quali devo a malincuore rimarcare un netto ritardo del nostro Paese. Che si concreta nel fatto che, all’atto pratico, chi si trova a cercare lavoro – e di questi tempi stiamo parlando di una porzione estremamente ampia della popolazione – si trova in molti (troppi!) casi disorientato. Uno spaesamento che investe in primissimo luogo i giovani; ma che affligge tutti quanti. E che finisce per coinvolgere anche il Management, che di middle o top si voglia parlare. Tanto i giovani quanto i professionisti più maturi vivono infatti all’oscuro delle previsioni su quali saranno i settori ed i ruoli con maggiori prospettive di crescita e di sviluppo già nell’immediato futuro. Ed a questo bisogna assommare le lacune presenti nel sistema formativo, con scuola ed università ancora tanto prese a parlare linguaggi differenti quanto sostanzialmente lontane dal mondo del lavoro. Una galassia professionale, poi, in riferimento alla quale permane un’idea ancora troppo generica e stereotipata di lavoro. Quando un’azienda pubblica un annuncio non sta infatti ricercando un “manager” o un “lavoratore” generico, ma un professionista dotato di uno specifico ed articolato profilo di competenze, che vada ad inserire la propria capacità umana e lavorativa in un macro-contesto di riferimento nel quale vanno tenute in adeguato conto anche le specifiche variabili proprie del settore produttivo d’appartenenza.
Come scrivere un curriculum che colpisca veramente le aziende?
Adottando poche – ma buone – regole. Il curriculum deve essere anzitutto sintetico. Al contempo dovrebbe evitare di incappare nella tentazione di un’eccessiva genericità, soprattutto per quanto riguarda la terminologia. Per garantire una maggiore efficacia ed incisività, suggerirei di dividerlo in due sezioni. Nella prima di esse, sarebbe utile fornire informazioni stringate su quali competenze si hanno, qual è il ruolo a cui si aspira e quali i risultati sinora ottenuti. Il tutto avendo cura di entrare nel dettaglio, il che significa anzitutto non scadere in general-generiche litanìe ritenute collaudate… “Dinamico, brillante, orientato al risultato e fortemente motivato…” è un film già visto che ha l’unico effetto di squalificare anche il migliore dei candidati. Ovviamente si tenga presente che le competenze, il ruolo ed i risultati devono essere strettamente correlati alla posizione che l’azienda sta ricercando. Alla seconda parte del resumé destinerei invece il complesso degli approfondimenti relativi al percorso professionale del candidato. Si tratterà in pratica di una sezione “esplosa”, che sarà cioè letta in seguito, e soprattutto in base all’interesse ed alla curiosità che la prima parte (quella sintetica) sarà stata in grado di suscitare.
Per attirare l’attenzione dell’HR aziendale, cosa scrivere nell’oggetto della e-mail con la quale si invia il cv?
Iniziamo da cosa non inserire. Il nome ed il cognome, per esempio. Un’ingenuità che presupporrebbe che il selezionatore di turno apra il cv e lo legga dovendo concettualizzare ex novo l’eventuale ambito di inserimento del candidato – con ovvio allungamento dei tempi di consultazione del materiale. Un’operazione che, invece, dovrebbe essere stata già compiuta a monte dal candidato stesso. Molto meglio, allora, indicare in oggetto il profilo o l’area cui si aspira.
Chi è favorito oggi nel mercato del lavoro?
A mio parere, sarà tendenzialmente in grado di imporsi sempre più sul mercato chi è in possesso di una (super-) specializzazione. Sto dicendo che un’ottima chiave per conquistarsi un futuro degno di questo nome è saper fare qualcosa di molto preciso, e saperlo fare in modo pressoché esclusivo. Magari complice qualche anno di lavoro all’estero, in ossequio all’ovvio principio dell’international mindset.
Nell’attuale congiuntura politica è possibile pensare che vengano realizzati interventi a supporto di questa specifica direzione?
Io penso che chiunque si prenderà l’onere e l’onore di governare il Paese non potrà rifuggire temi di questo calibro e di questa urgenza. Perché il lavoro è oggi la nostra più grande emergenza. Un segno dei tempi che richiede a gran voce interventi rapidi ed il più possibile efficaci. Azioni, soprattutto, lontane dalla genericità immobile degli slogan, eppure al contempo vicine più che mai ai fabbisogni delle aziende e delle persone, di chi offre lavoro e di chi cerca un’occupazione.
Fonte: www.lavoroeimpresa.com