Anche un datore di lavoro pubblico può ridurre l’organico in funzione delle proprie esigenze di efficienza organizzativa e della necessità di ridurre il costo del lavoro; se decide di procedere, deve rispettare alcuni obblighi procedurali, deve dimostrare di aver adempiuto l’obbligo di repechage e, al momento del recesso, è tenuto ad applicare i criteri di scelta previsti dalla normativa applicabile anche al settore privato.

Così la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3738 depositata ieri, a conclusione della vicenda avviata da un dipendente pubblico collocato in disponibilità da una Camera di commercio presso cui lavorava, sulla base della procedura prevista dal Testo Unico Pubblico Impiego per gestire gli esuberi di personale nella pubblica amministrazione.

Il dipendente aveva impugnato sia la determina commissariale con cui era stato coinvolto nella procedura espulsiva, sia il piano triennale allegato a tale provvedimento. La Corte d’Appello di Napoli, riformando in parte la sentenza di primo grado, aveva respinto l’impugnazione del dipendente, ritenendo che la procedura che era stata seguita per il collocamento in disponibilità fosse stata correttamente esperita dalla Camera di Commercio. Secondo la Corte territoriale il datore di lavoro aveva fornito un’adeguata giustificazione dell’impossibilità di reimpiego del dipendente all’interno della stessa amministrazione di appartenenza. Inoltre, la Corte aveva rilevato il corretto adempimento, da parte della Camera di Commercio, dell’obbligo di iscrizione del dipendente in esubero presso gli appositi elenchi previsti dalla legge allo scopo di tentare il riassorbimento delle eccedenze di personale presso altre amministrazioni.

La sentenza della Corte di Cassazione conferma le conclusioni della Corte territoriale, affermando alcuni importanti principi di diritto sul tema. In primo luogo, viene chiarito che nel pubblico impiego l’organizzazione e la consistenza dell’organico devono essere determinate in funzione dell’efficienza dell’organizzazione, della razionalizzazione del costo del lavoro e del migliore utilizzo delle risorse umane.

Inoltre, la Corte precisa che se le eccedenze di personale pubblico sono inferiori alle 10 unità, si applicano parzialmente le norme contenute nell’art. 33 del d.lgs. 165/2001 (nel testo vigente prima elle modifiche apportate nel 2009) che disciplinano le procedure di consultazione sindacale.

In tale ipotesi, prosegue la sentenza, se la contrattazione collettiva non dispone diversamente, la scelta dei lavoratori da licenziare deve seguire i criteri fissati in via generale e per tutti i licenziamenti collettivi dalla legge n. 223/1991. Pertanto, il datore di lavoro pubblico dovrà selezionare il personale da licenziare contemperando le proprie esigenze tecniche, organizzative e produttive con i carichi di famiglia e l’anzianità aziendale.

Infine, la Corte precisa che il datore di lavoro pubblico è tenuto a dimostrare l’impossibilità di ricollocare il dipendente in una posizione alternativa all’interno della stessa amministrazione, applicando eventuali norme collettive che regolano il cambio di mansioni, e a dimostrare di aver incluso il dipendente collocato in disponibilità negli appositi elenchi previsti dalla legge.

Fonte: lavoroeimpresa.com

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